domenica, dicembre 17, 2006

Sul caso Welby

"La vita non appartiene all'essere umano": a questa assurda conclusione si è arrivati a proposito del caso Welby.
Tu sei lì sul ponte, hai già scavalcato il parapetto, con un sospiro soddisfatto allarghi le braccia e ti lanci nel vuoto a volo d'uccello (l'ultima e unica grande impresa della tua tormentosa vita), già fiducioso di avercela fatta... quando ti senti agganciare la scarpa... No! La scarpa si sfila, forse ce la puoi ancora fare... ma ti afferrano il calzino. Si sfila anch'esso... poi hanno il tuo calcagno in mano, la gamba, tutto te stesso. Ti tirano su, magari orgogliosi di sé per averti "salvato". Ti chiedono "perché?" e quando tu urli loro in faccia: "Lasciatemi morireee!" ti infilano la camicia di forza e ti richiudono in una cella imbottita, con tanto di sorveglianza speciale perché tu "non faccia sciocchezze".
Il paradosso è che la vita appartiene all'essere umano. A ognuno di noi. Non possono impedirci di farne quel che vogliamo! Se non appartiene a noi, a chi allora? Alla società? A questo convivio di strani, spietati animali che sono gli stessi che ci spinsero a volerla fare finita?


Vogliono continuare a tenere attaccato il ventilatore polmonare che mantiene in "vita" Piergiorgio Welby.
E' una vera e propria tortura senza soluzione di continuità nei confronti di una persona che soffre e non fa che ripeterlo a tamburo battente. Una "condanna a vita" senza diritto di difesa e con la complicità dei soliti medici-aguzzini e giudici dell'Inquisizione.
Ci hanno sviliti ormai in tutti i campi, depredandoci persino della scelta se continuare questa indicibile agonia o spegnerci per sempre.

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