domenica, gennaio 12, 2014

E' morto un altro criminale di guerra

Un sionista, un dittatore sanguinario, il terrore della Cisgiordania: Ariel Sharon


I suoi genitori provenivano dall'Europa dell'Est - tipici ebrei delle regioni slave - e lui fece carriera nell'esercito israeliano, osannato dai suoi amici e odiato a morte dai suoi nemici, questi ultimi vittime dirette o indirette del suo brutale modo di agire. Non a caso lo chiamavano "Bulldozer": brutale Ariel Sharon lo fu anche in politica, e spesso fu qualche sua decisione testarda, fuori luogo, a senso unico, a scatenare l'Intifada (= resistenza armata) palestinese.


I libri di Storia occidentali lo ricorderanno forse come un governante oculato - giacché noi in Occidente facciamo sempre finta di non vedere e non sentire -, ma nella memoria degli arabi Sharon rimarrà sempre "Il Macellaio di Beirut": nel settembre 1982, nel corso della Guerra Civile del Libano (1975-1990), milizie cristiane libanesi alleate con gli israeliani entrarono nei campi profughi di Sabra e Shatila dove trucidarono oltre 2.000 palestinesi (uomini, donne e bambini che erano stati costretti a lasciare le loro case per rifugiarsi in quella zona alla periferia di Beirut). Sharon allora era Ministro della Difesa e una commissione israeliana attestò la sua indiretta colpa per il genocidio.
Nonostante ciò, nel 2001 divenne capo del governo, e lo rimase fino al 2006. Onorato e rispettato come "eroe di guerra", nel 2005 riuscì a far passare in parlamento un decreto che sorprese non pochi: il ritiro dalla Striscia dei Gaza dei coloni israeliani che vi si erano insidiati. Per questo Sharon ebbe degli amari dibattimenti con i vecchi camerati del Likud (il partito di destra di cui era cofondatore) e decise di dare la stura a una nuova formazione politica, la Kadima ("Avanti"), che si dichiara più moderata.

                            Si combatte nella spianata sacra di Gerusalemme

Ora i media e i capi di Stato occidentali, nel ricordare la sua figura, sottolineano quella sua decisione di abbandonare gli insediamenti abusivi nei territori occupati. Peccato però che a tale "storica" mossa Sharon venne costretto dalle circostanze negative da lui stesso create!
Difatti Israele era stato bersaglio dei razzi Qassam, sparati dalla Striscia di Gaza dopo lo scoppio della Seconda Intifada (16 aprile 2001). Le operazioni militari israeliane del 2004 chiamate "Arcobaleno" (a maggio) e "Giorni di Penitenza" (a settembre), atte a distruggere i tunnel sotterranei e smantellare le infrastrutture di Hamas (Movimento Islamico di Resistenza palestinese; "hamas" ovvero حماس sta per "entusiasmo, zelo"), non dovettero portare i risultati sperati e costarono fin troppo a Israele: ecco il motivo della "sorprendente" decisione del premier di restituire ai palestinesi una parte dei territori occupati (decisione che, come abbiamo detto, fu stoltamente osannata dall'Ovest filo-israeliano).



Chi oggi critica gli arabi, che esultano per la morte di Ariel Sharon e gli augurano di tutto cuore una buona permanenza all'inferno, dimentica o ignora qual è la biografia di questo uomo.

Nato nel 1928 in quella parte della Palestina allora assegnata al controllo dei britannici, e su cui sarebbe sorto lo Stato di Israele, fu una figura controversa fin da giovane. Il suo background culturale ce lo dipinge come un contadino "votato alla musica" (nel kibbutz prese lezioni di pianoforte e violino), ma la sua carriera militare (dove sarebbe avanzato fino al grado di alto generale) è, giocoforza, tutt'altro che caratterizzata da gesti gentili, culturali, umanistici.
Contribuì alla nascita dell'esercito israeliano come membro dei gruppi paramilitari Jewish Haganah nella guerra del 1947-48, che portò alla "Nakba" (parola araba che significa "Giorno della Catastrofe" e che indica la cacciata e-o fuga di 700.000 palestinesi e la distruzione di numerosi loro villaggi a opera degli israeliani).

                

Il protegé di David Ben-Gurion era un comandante implacabile; non a caso una delle sue biografie reca il titolo Il Cesare d'Israele. Nella Guerra dei Sei Giorni fu l'unità di Sharon a conquistare il Sinai, e durante la Guerra dello Jom Kippur (1973), cui lui partecipò nonostante già pensionato, fu l'attraversamento del Canale di Suez da lui voluto a quanto pare senza ordine ufficiale a dare la svolta decisiva al conflitto. Quel "colpo di testa" contribuì alla creazione del mito di Sharon come protettore e paladino dello Stato ebreo. Per gli arabi ovviamente lui era, e sempre rimarrà, un terrorista di Stato, nonché criminale di guerra. Come abbiamo visto, "Bulldozer" avrebbe ricoperto la carica di Ministro della Difesa, da cui dovette dimettersi dopo il genocidio in Libano (ma fu l'intera guerra libanese a provocare troppi morti: quasi tutti civili innocenti).


... Nel frattempo la sua vita privata veniva caratterizzata da una serie di tragiche circostanze: un suo figlio morì a soli undici anni nella fattoria di famiglia per un colpo partito accidentalmente da un fucile, la sua prima moglie perse la vita in un incidente d'auto, la seconda morì di cancro... Sharon però non si arrendeva e si rialzava, così come si è sempre rialzato dopo ogni sconfitta politica. Continuò imperterrito a macinare strada, divenendo titolare di diversi ministeri. Fu quando era Ministro dell'Agricoltura che fece pressione affinché si costruissero nuovi insediamenti nelle zone occupate (fu ciò a contribuire al nomignolo di "Bulldozer"). Indimenticabile il suo appello rivolto ai coloni nel 1988, poco prima che negli Stati Uniti si tenesse una conferenza su una possibile nuova ripartizione di quei territori: 
"Correte e impossessatevi di più terra possibile, allargate le colonie. Tutto ciò che arraffate adesso rimarrà nostro, mentre ciò che non prendete andrà a loro [nelle mani dei palestinesi]".

I funerali di Sharon si terranno lunedì nel suo ranch, nel deserto del Negev. L'ex premier è morto a 85 anni in un ospedale di Tel Aviv dopo otto anni di coma.




Ciò che segue è la condanna di un religioso belga contro la politica di Israele e il gioco "da gnorri" della comunità internazionale. Lasciamo dunque la parola a Dom Armand Veilleux, abate dell'abbazia cistercense di Scourmont, in Belgio.


 Se non è genocidio...
L’assenza quasi totale di reazione della comunità internazionale davanti ai metodi crudeli e barbari cui sta facendo ricorso in questi giorni lo Stato d’Israele contro il popolo palestinese è un esempio flagrante dell’assenza sempre più totale di rispetto per i valori morali o, più semplicemente, dell’assenza di moralità in seno alla comunità internazionale. I Paesi dell’Europa e dell’America del Nord si fregiano della democrazia e hanno iniziato a farne dono al resto del mondo, in particolare alla parte del pianeta ricca di petrolio, salvo imporre questo regalo con la voce delle armi, a prezzo di distruzioni massicce delle infrastrutture materiali, senza contare le enormi perdite in termini di vite umane. A partire dal momento in cui l’economia neoliberista si è imposta come valore fondamentale dei Paesi che si credono sviluppati, dove tutti gli altri valori sono stati infine a questo sottomessi, praticamente ogni valore morale è scomparso dalle relazioni fra gli uomini e soprattutto fra i popoli. Abbiamo assistito, nel corso degli ultimi anni, a tutta una serie di movimenti democratici “teleguidati” secondo un metodo messo a punto dalla Cia e promossi da tutta una serie di organizzazioni che le servono da copertura o che sono stati creati per fare il suo lavoro, in particolare The National Endowment for Democracy e le relative numerose filiali, come anche l’Open Society del miliardario George Soros. Gli Stati Uniti hanno montato, nel 2000, una massiccia operazione sul piano diplomatico a mezzo stampa, un’armata di pollsters (sondaggisti ‘a servizio’, ndr) e decine di milioni di dollari per rovesciare Slobodan Milosevic in Serbia. Poiché nessuno piange la sua fine, si è dimenticato che il fine non giustifica i mezzi e si sono chiusi gli occhi sul fatto che l’intervento massiccio di una potenza straniera nella manipolazione di un processo elettorale costituiva un pericoloso precedente. Lo stesso procedimento consente qualche anno dopo di rovesciare Edouard Shevardnadze in Georgia e di sostiuirlo con Mikhail Saakashvili, che non ha affatto la statura politica di uno Shevardnadze ma che ha la qualità di essere più filo-occidentale. Uno sforzo analogo impiegato dieci mesi più tardi per rovesciare Kustunica in Bielorussia è fallito. Anche in Ucraina sono stati impiegati tutti i milioni necessari e l'artiglieria pesante per fare in modo che Yuscenko fosse il vincitore malgrado Kuchma avesse preso più voti. Le campagne di protesta sono state organizzate appena qualche ora dopo l'inizio della votazione e i pollsters occidentali davano l'11% in più a Yuscenko ben prima che si chiudessero i seggi. Lo stesso metodo ha sprofondato Haiti in un marasma ancora più tragico di quello che il Paese aveva conosciuto da generazioni ma è fallito in Venezuela, dove gli esperti americani hanno totalmente trascurato il sostegno della popolazione venezuelana che, nella sua stragrande maggioranza, continua ad essere riconoscente ad Hugo Chávez per averla liberata della lunga teoria di governi corrotti che avevano gettato il popolo nella miseria malgrado la manna del petrolio. La lista di queste elezioni "democratiche" teleguidate dall'esterno non smette d'allungarsi, senza dimenticare, certamente, l'ultima elezione in Libano. Quando la nazione palestinese, con una votazione svoltasi secondo tutte le regole della democrazia e sotto gli occhi di osservatori stranieri che ne hanno certificato la correttezza, elegge per sé un governo che non piace ai regimi di Tel Aviv e di Washington, la comunità internazionale rifiuta di riconoscere l'autorità di questo governo liberamente eletto. Non solo rifiuta di riconoscerlo, ma sottomette tutta la popolazione palestinese a sofferenze ancora più grandi di quelle che subisce da più di mezzo secolo. Concretamente, si tagliano tutti i sussidi (resi necessari da tempo a causa della distruzione sistematica dell'economia palestinese) e nessuno sembra trovare anormale che Israele rifiuti di versare al governo palestinese le tasse riscosse a suo nome e versate dai contribuenti palestinesi: cosa che, secondo il diritto civile, costituisce un furto puro e semplice. Prima di riconoscere il governo di Hamas, la comunità internazionale vorrebbe che questo rinunciasse alla violenza. Bei sentimenti, senza dubbio! Ma si conosce un altro caso nella storia in cui si è creduto opportuno domandare ad un popolo occupato militarmente e attaccato militarmente praticamente tutti i giorni di rinunciare a difendersi? Certo, si può chiedere ai palestinesi di non attaccare i civili in Israele, ma perché nessuno osa chiedere anche ad Israele di cessare i suoi assassinii sistematici in Palestina, che sacrificano ogni volta un numero di civili più grande dei “sospetti” che intende far fuori con missili lanciati dall’alto in strade stipate di civili? D’altronde non c’è nessuno nella comunità internazionale che abbia il coraggio e il senso morale di ricordare ai governi che guidano Israele e Washington che la tradizione dei Paesi civili vuole che si arrestino e si giudichino le persone “sospettate” di crimini piuttosto che assassinarle prima di dimostrare il loro crimine. Evidentemente è impossibile a chiunque biasimare i dirigenti dello Stato di Israele, quali che siano, anche per il crimine più evidente contro il diritto internazionale, senza farsi trattare da antisemita; e, siccome nessuno desidera sentirsi affibbiare questo aggettivo, questo ricatto continua ad essere efficace anno dopo anno. Come si può rimproverare ai dirigenti palestinesi di non controllare i gruppi estremisti che agiscono sul loro territorio o in Israele quando da decenni si fa di tutto per rendere il territorio palestinese assolutamente ingovernabile con attacchi e controlli militari incessanti, con la neutralizzazione delle vie di comunicazione fra le diverse parti del territorio, e con la distruzione massiccia e ripetuta di tutte le infrastrutture? Come si poteva rimproverare ad Arafat di non controllare la violenza in Palestina quando lo si teneva prigioniero nel suo rifugio mezzo distrutto e senza comunicazioni con l’esterno? Si chieda pure ad Hamas di riconoscere lo Stato d’Israele; ma si domandi anche allo Stato d’Israele di smettere di impedire, come fa da più di mezzo secolo, la costituzione di uno Stato palestinese. Gli si chieda soprattutto di cessare la sua attività frenetica degli ultimi anni – la costruzione del muro della vergogna, in particolare – finalizzata a rendere praticamente impossibile in avvenire la realizzazione di uno Stato palestinese. È normale che si reagisca al rapimento di un giovane soldato ebreo, ma è per stanchezza o per abitudine che nessuno fa niente di fronte al sequestro frequente di centinaia di palestinesi - fra i quali numerosi bambini - che imputridiscono nelle carceri di Israele? La reazione di estrema violenza al rapimento del giovane soldato da parte del governo dello Stato di Israele, che ha punito collettivamente la popolazione di Gaza privandola di elettricità ed acqua potabile e distruggendo gravemente le infrastrutture (ponti in particolare) sopravvissute ad attacchi precedenti, costituisce, in termini di diritto internazionale, un crimine di guerra e un crimine contro l’umanità. L’arresto della quasi totalità dei membri del governo palestinese – da poco eletto democraticamente – è un gesto di follia arrogante reso possibile solo dalla convinzione dello Stato d’Israele di possedere agli occhi della comunità internazionale una completa immunità che lo autorizza a tutto, anche a ciò che viene considerato ‘terrorismo’ e ‘crimine contro l’umanità’ quando è fatto da altri. Sono anche deluso dal fatto di vedere che le autorità della Chiesa cattolica, che hanno versato tanto inchiostro per difendersi da quelle che percepivano come accuse nell’immaginazione fertile di Dan Brown, l’autore del Codice da Vinci, ne hanno trovato ben poco per reagire al presente dramma. Gli inviti a riprendere i negoziati, genericamente indirizzati “a tutte le parti”, suonano vuoti come gli appelli a “contenersi” rivolti da George Bush a Israele. Non mi faccio avvocato di alcuna violenza. Condanno e respingo tutte le violenze che divorano il Medio Oriente e che riguardano i popoli di Israele e della Palestina. Ma l’immoralità dei “due pesi, due misure” della comunità internazionale mi scandalizza e mi addolora. Continuo a rifiutare la parola “terrorismo”, il cui uso attuale è macchiato da una tremenda ipocrisia. Perché l’esplosione delle bombe umane in Israele sarebbe atto di terrorismo, e il lancio di bombe inumane sulla Palestina dall'alto no? Perché gli attacchi contro i soldati della sedicente “coalizione” in Afghanistan o in Iraq sarebbero terrorismo e la sorte inumana e illegale riservata alle vittime del carcere abietto di Guantánamo no? In un precedente articolo ho utilizzato l’espressione “genocidio palestinese” che ha suscitato la sorpresa, lo scandalo e la collera di certuni. Conosco le definizioni – peraltro molto ampie e imprecise – di “genocidio” date da diversi documenti delle Nazioni Unite. Ma resta il fatto che la parola genocidio vuol dire etimologicamente l’atto o il tentativo di provocare la morte di una nazione (génos). Se il fatto di impedire sistematicamente, per più di mezzo secolo, ad un popolo di costituirsi in nazione e di avere un proprio Paese, il fatto di mantenere questo popolo – privato della maggior parte del suo territorio – in campi di rifugiati, dove regna una povertà abietta, e di sottometterlo ad umiliazioni costanti e sistematiche, a un’occupazione civile e militare e ad ogni sorta di abuso non può chiamarsi “genocidio”, che i linguisti mi inventino un neologismo, perché non esiste nessun’altra parola di nessuna lingua moderna per descrivere una tale situazione.                              
       Dom Armand Veilleux


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Leggi questa breve ma impressionante biografia di Ariel Sharon  sul libanese Daily Star,
oppure questo amaro ricordo dal titolo "Nemico della pace" sull'Aljazeera

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